Nuova programmazione 2014-2020
Le aree interne possono riprendere la via dello sviluppo
a condizione che…
24 febbraio 2014
Articolo di Giuseppe Mangone presidente ANPA-LiberiAgricoltori Calabria
Alla fine degli anni 70, fu avviato un grande dibattito sulle aree interne del nostro paese, con l’obbiettivo di disegnare uno sviluppo che mettesse in relazione le are interne con il resto del territorio. Dopo alcuni anni, questo dibattito si concentrò esclusivamente sulle aree montane. Le politiche che sono state perseguite, da allora fino ad oggi, da una parte non hanno assicurato lo sviluppo della montagna e dall’altra ne hanno determinato un forte isolamento. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti. L’Italia registra una persistente concentrazione delle popolazioni nelle aree urbane e, per converso, una fuga continua dalle campagne e dalle zone meno favorite dell’interno. Ciò provoca una lacerazione sempre più grave del tessuto sociale ma anche produttivo, accentuando le ineguaglianze tra città e campagna, tra agricoltura e industria, tra zone costiere e zone interne, tra pianura e montagna. Una parte sempre maggiore del territorio nazionale è di fatto esclusa da ogni concreta possibilità di progresso. In Calabria, più che nelle altre regioni italiane, i dati sull’andamento demografico delle aree interne, in generale negli ultimi decenni, indicano una costante perdita di popolazione a favore delle città, dei fondovalle e della costa. Alla contrazione della popolazione è seguita la riduzione di beni e servizi pubblici, primi fra tutti: strutture sanitarie, scuole, asili ecc.. Tale riduzione, in molte aree, ha determinato una condizione di invivibilità e, quindi, il definitivo spopolamento. La conseguenza di questo stato delle cose è lo sconquasso del territorio e i danni gravissimi causati dalle varie calamità naturali: siccità, frane, alluvioni ecc. È evidente, dunque, che bisogna partire proprio dalla ristrutturazione del territorio, per realizzare un riequilibrio sul versante territoriale, produttivo e sociale. La salvaguardia del territorio riguarda, in primo luogo, gli agricoltori ma la riqualificazione e la conveniente utilizzazione di questa decisiva risorsa tocca ogni campo di attività e interessa in via diretta tutti: costruire una scuola, un ospedale, uno stadio, sopprimere una linea ferroviaria o un asilo, definire un nuovo tracciato autostradale, creare una nuova università o abolire un ufficio postale, chiudere una fabbrica, progettare una nuova centrale per la produzione di energia o una discarica, non sono fatti ininfluenti sulla vita di ogni giorno di milioni di cittadini. La ristrutturazione del territorio, deve essere l’impegno centrale di istituzioni, politica e cittadini, per creare le condizioni necessarie per migliorare la qualità della vita e la sicurezza delle popolazioni. Questo, in una visione secondo la quale ognuno deve svolgere il suo compito. Gli enti locali per quelle che sono le loro competenze e lo stato che, seppure in una repubblica delle autonomie quale siamo, conserva la funzione, anzi il dovere ineludibile, di assicurare la coerenza tra gli interessi particolari locali e quelli più generali del paese. La ristrutturazione del territorio, assieme alla rivitalizzazione e allo sviluppo delle aree interne, dunque, è la vera sfida del presente e del futuro. Si tratta di una vera e propria sfida di civiltà. Dal modo come l’Italia saprà gestire il suo territorio dipenderà la vivibilità nelle grandi città, la sicurezza, la salvaguardia dello spazio rurale, la garanzia delle condizioni essenziali dell’unità nazionale. La Calabria ha conseguito uno sviluppo urbanistico, spesso, con punte alte di abusivismo, concentrato a dismisura sulle coste, oggi, saturo, incapace di generare ulteriore attrazione turistica. Un nuovo processo di sviluppo dell’economia della regione potrà, pertanto, partire a condizione che si ricrei un proficuo rapporto tra aree costiere e aree interne. Nelle aree interne, occorrono progetti specifici e pilota in grado di rispondere a due necessità fondamentali. La prima è quella di interrompere il circolo vizioso secondo il quale alla riduzione di servizi corrisponde spopolamento a seguito del quale vengono definitivamente smantellati i servizi residui. Il circolo si chiude, così con l’abbandono definitivo. L’abbandono è il nemico principale del territorio, l’anticamera dei disastri ambientali. La seconda necessità è quella di valorizzare le enormi risorse paesaggistiche, naturali e ambientali, il patrimonio storico e culturale. La fase che si apre è di straordinaria importanza. Nel periodo 2014-2020, come sappiamo, sarà operativa la nuova programmazione dei fondi strutturali UE, cofinanziati dallo stato e dalle regioni. Nel settennio si renderanno disponibili risorse che, seppur non sufficienti ad affrontare tutti i problemi, se ben utilizzati, potranno imprimere quella inversione di tendenza verso lo sviluppo di cui hanno bisogno l’Italia e soprattutto il sud e la nostra regione in particolare. L’allocazione delle risorse avverrà secondo tre categorie di regioni previste dai regolamenti: • Regioni meno sviluppate (Calabria, Sicilia, Campania, Puglia, Basilicata) • Regioni in transizione (Abbruzzo Molise e Sardegna) • Regioni più sviluppate (tutte le altre). In base a quanto stabilito dall’esito del negoziato sul quadro finanziario pluriennale per il 2014-2020, l’Italia beneficerà di un totale di risorse comunitarie pari a 32.268 milioni di euro, con la seguente ripartizione: 7.695 milioni di euro per le regioni più sviluppate; 1.102 per le regioni in transizione; 22.334 milioni di euro per le regioni meno sviluppate (prezzi correnti). Alla quota comunitaria si aggiungerà il cofinanziamento nazionale di 24 miliardi di euro nonché la quota di cofinanziamento regionale da destinare ai POR, quantificabile in una cifra pari al 30% del cofinanziamento complessivo del programma. Alle risorse sopra elencate si aggiungeranno anche quelle del fondo per lo sviluppo e coesione, il cui rifinanziamento per il periodo 2014-2020 è previsto nel disegno di legge sulla stabilità per il 2014 per un importo complessivo nel settennio di programmazione di circa 54 miliardi di euro. Il fondo opererà per investimenti pubblici destinando l’80% delle risorse alle regioni del centro-sud e il 20% alle regioni del centro-nord. Nel complesso, il volume di risorse per la coesione territoriale nel prossimo ciclo 2014-2020 supererà i 100 miliardi di euro. Nel contesto della nuova programmazione, le aree interne sono una delle tre opzioni strategiche insieme alle città e al mezzogiorno. Gli obbiettivi per il rilancio e la responsabilità per le aree interne sono: • Mettere in sicurezza il territorio; • Promuovere la diversità naturale e culturale; • Concorrere a una nuova stagione di sviluppo. Per il raggiungimento di questi obbiettivi sono previsti azioni e interventi specifici quali: • Interventi sulla scuola e sulla sanità volti al riposizionamento e riqualificazione dei servizi essenziali; • Interventi sulle telecomunicazioni e la mobilità • Interventi per l’istruzione e la formazione, anche degli adulti; • Azioni per la manutenzione del territorio e l’ammodernamento degli edifici pubblici; • Promozione delle attività produttive, segnatamente turistiche, boschive e agricole. Si tratta, in sostanza, di un quadro di opportunità di rilevante importanza. Il punto è se sapremo coglierle pienamente. Occorre, prima di tutto, qualità e capacità progettuale della regione; efficacia ed efficienza della macchina burocratico- amministrativa preposta alla gestione dei programmi; gli enti locali, primi fra tutti i comuni, devono abbandonare le logiche individualiste e localiste e impegnarsi a fare rete per candidarsi a gestire i servizi necessari in forma associata, considerata, tra l’altro, la loro limitata dimensione; la stessa necessità si pone per imprese e aziende che, attraverso la forma associata e la rete, devono investire per affrontare il mercato, sia interno che internazionale. Un ruolo decisivo spetta, infine alle banche che devono erogare il credito necessario alle imprese per cofinanziare i progetti di investimento.