Qualità del lavoro
Contrasto ed emersione del lavoro irregolare in Calabria
Contrasto ai fenomeni del lavoro nero
e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura (caporalato)
Intervento ANPA - LiberiAgricoltori
Seminario ARSAC - Regione Calabria
San Ferdinando – 18 febbraio 2019
La piana di Gioia Tauro e di Sibari sono sicuramente le aree di polpa dell’agricoltura calabrese dove insistono filiere produttive anche inserite nei mercati nazionali e internazionali. Eppure, in questo momento, a Sibari gli agricoltori stanno pagando 2 euro a pianta per buttare a terra i mandarini rimasti invenduti.
In queste aree il picco della domanda di manodopera si registra nel periodo della raccolta degli agrumi, fermo restando l’impiego più contenuto di manodopera di lavoratori immigrati negli altri periodi dell’anno. La condizione dei rapporti di lavoro, ormai da tanti anni a questa parte, è che gli imprenditori non riescono a pagare ai braccianti il salario previsto dai contratti provinciali perché i prezzi dei prodotti si abbassano mentre quelli di gasolio, concimi, piante, etc. aumentano, pertanto, le aziende sarebbero fuori dal mercato. L’unico costo comprimibile, quindi, resta il lavoro.
In questa situazione, molte aziende hanno retto la crescente pressione sui prezzi dei prodotti agricoli operata da commercianti, industrie conserviere e catena della grande distribuzione organizzata, grazie alla presenza di un elevato numero di lavoratori vulnerabili e disponibili a ricevere salari bassi. Industria, GDO e commercianti, a loro volta comprimono i prezzi non perché sono brutti e cattivi bensì come conseguenza della competizione internazionale dovuta alla liberalizzazione dei mercati dei prodotti agricoli e di quelli industriali e dei servizi. In questa situazione di stagnazione che ormai si protrae da alcuni decenni e che stenta ad evolversi verso l’innovazione e il cambiamento le condizioni di maggiore sofferenza si concentrano nelle aziende agricole e nei lavoratori, soprattutto immigrati, le prime legate agli altri da uno stato di reciproca necessità e non già dalla condivisione di progetti imprenditoriali.
E’ nel mezzo di questa duplice sofferenza, che non si è mai trasformata in dialogo e ascolto delle reciproche ragioni, che si è inserito il caporalato con il suo sistema illegale di servizi. I lavoratori stranieri che arrivano, soprattutto quelli stagionali, trovano una condizione abitativa gravissima: casolari abbandonati, abitazioni senza luce, acqua letti, tetti adeguati. Passano settimane in situazioni di vera e propria segregazione, isolati, lontani dai centri abitati, senza alcuna conoscenza dei territori. Così diventano merce a disposizione dei caporali che invece conoscono bene sia il territorio sia le esigenze di manodopera delle aziende. I caporali, così, svolgono efficacemente la loro attività di mediazione coprendo il vuoto che esiste tra datore di lavoro e braccianti.
Abitazione e raggiungibilità del posto di lavoro sono, dunque, due problemi prioritari da risolvere. Occorre partire dalla consapevolezza che i lavoratori immigrati, soprattutto stagionali, sono necessari per le produzioni agricole dei territori e che ad essi va assicurato il diritto ad avere una abitazione. Questo compito spetta, prima di tutto, alle amministrazioni locali. Non si può attendere che le situazioni degenerino per poi intervenire come situazione di emergenza umanitaria. La questione è strutturale e ricorrente e come tale, pertanto, deve essere preventivamente affrontata. Il flusso dei lavoratori stagionali non è una piena di uomini e donne che sbarcano improvvisamente in Calabria in maniera incontrollata. Si hanno tutti i dati, le esigenze di manodopera delle aziende e, quindi, il numero dei lavoratori necessari per i quali vengono concesse le autorizzazioni per l’ingresso nei territori.
La Regione, con l’art. 36 3 37 della legge regionale n. 9/2018 (testo unico sul contrasto alla criminalità) assume una serie di impegni importanti. Noi proponiamo di prevedere anche l’attivazione di una specifica misura per cofinanziare gli investimenti degli imprenditori che intendono istituire presso le loro aziende alloggi in rapporto alla manodopera di cui hanno bisogno. Sarebbe un intervento realizzabile in tempi brevi, efficace per risolvere il problema del raggiungimento del posto di lavoro togliendo così spazio ai caporali.
La soluzione dei problemi che oggi vivono aziende agricole, lavoratori , industrie e imprese commerciali può avvenire solo attraverso un progetto generale di cambiamento e di innovazione dell’agricoltura che abbia al centro l’obiettivo di realizzare un sistema agroalimentare capace di garantire il cibo per tutti, la remunerazione del lavoro delle imprese, l’applicazione dei contratti sindacali per il pagamento dei lavoratori, la sicurezza alimentare, l’eco- sostenibilità delle produzioni e degli allevamenti. Un progetto di cambiamento di questo tipo chiama in causa tutti: Istituzioni, Imprese, Organizzazioni Professionali e Sindacali, Cittadini. Ognuno per la propria parte deve adoperarsi per promuovere lo sviluppo dei territori. Oggi serve una mobilitazione per lo sviluppo almeno pari a quella che si determinò conseguentemente all’intervento dell’irrigazione con l’utilizzo di tutte le tecnologie innovative disponibili e aiutando l’agricoltura a svolgere efficacemente oltre al suo ruolo produttivo quello multifunzionale nelle aree rurali. Non partiamo da zero. Occorre utilizzare bene strumenti e risorse già disponibili e crearne di nuovi. Ad esempio, la rete dei partenariati dei GAL (Gruppi di Azione locale) è un patrimonio di risorse umane e materiali che si sono costituite nel corso degli ultimi 25 anni. Con la programmazione prevista nei PAL (Piani Azione Locale) si centra l’obiettivo di perseguire uno sviluppo incentrato sul fare rete fra le aziende.
Realizzata la spesa prevista dall’attuale PSR, quello dei GAL deve essere un modello da mantenere perché adeguato a perseguire gli obiettivi e a realizzare gli investimenti necessari per lo sviluppo delle aree rurali. La programmazione in corso (2014/2020), la cui spesa prevista dovrà essere realizzata (secondo la regola N+3) entro il 2023 e quella che seguirà dovrà affrontare in maniera più adeguata il tema del riequilibrio territoriale. Le politiche sbagliate perseguite dalla fine degli anni ’70 in poi hanno determinato una persistente concentrazione delle popolazioni nelle aree urbane e, per converso, una fuga continua dalle campagne e dalle zone meno favorite dell’interno. Ciò provoca una lacerazione sempre più grave del tessuto sociale ma anche produttivo, accentuando le ineguaglianze tra città e campagna, tra agricoltura e industria, tra zone costiere e zone interne, tra pianura e montagna. Una parte sempre maggiore del territorio regionale è di fatto esclusa da ogni concreta possibilità di progresso. In Calabria, più che nelle altre regioni italiane, i dati sull’andamento demografico delle aree interne, in generale negli ultimi decenni, indicano una costante perdita di popolazione a favore delle città, dei fondovalle e della costa. Alla contrazione della popolazione è seguita la riduzione di beni e servizi pubblici, primi fra tutti: strutture sanitarie, scuole, asili ecc.. Tale riduzione, in molte aree, ha determinato una condizione di invivibilità e, quindi, il definitivo spopolamento. La conseguenza di questo stato delle cose è lo sconquasso del territorio e i danni gravissimi causati dalle varie calamità naturali: siccità, frane, alluvioni ecc. È evidente, dunque, che bisogna partire proprio dalla ristrutturazione del territorio, per realizzare un riequilibrio sul versante territoriale, produttivo e sociale. La salvaguardia del territorio riguarda, in primo luogo, gli agricoltori ma la riqualificazione e la conveniente utilizzazione di questa decisiva risorsa tocca ogni campo di attività e interessa in via diretta tutti: costruire una scuola, un ospedale, uno stadio, sopprimere una linea ferroviaria o un asilo, definire un nuovo tracciato autostradale, creare una nuova università o abolire un ufficio postale, chiudere una fabbrica, progettare una nuova centrale per la produzione di energia o una discarica, creare strutture abitative per i lavoratori immigrati non sono fatti ininfluenti sulla vita di ogni giorno di milioni di cittadini. La ristrutturazione del territorio, deve essere l’impegno centrale di istituzioni, politica e cittadini, per creare le condizioni necessarie per migliorare la qualità della vita e la sicurezza delle popolazioni. Questo, in una visione secondo la quale ognuno deve svolgere il suo compito. Gli enti locali per quelle che sono le loro competenze e lo stato che, seppure in una repubblica delle autonomie quale siamo, conserva la funzione, anzi il dovere ineludibile, di assicurare la coerenza tra gli interessi particolari locali e quelli più generali del paese. La ristrutturazione del territorio, assieme alla rivitalizzazione e allo sviluppo delle aree interne, dunque, è la vera sfida del presente e del futuro. Si tratta di una vera e propria sfida di civiltà.
La Calabria ha conseguito uno sviluppo urbanistico, spesso, con punte alte di abusivismo, concentrato a dismisura sulle coste, oggi, saturo, incapace di generare ulteriore attrazione turistica. Un nuovo processo di sviluppo dell’economia della regione potrà, pertanto, partire a condizione che si ricrei un proficuo rapporto tra aree costiere e aree interne. Nelle aree interne, occorrono progetti specifici e pilota in grado di rispondere a due necessità fondamentali. La prima è quella di interrompere il circolo vizioso secondo il quale alla riduzione di servizi corrisponde spopolamento a seguito del quale vengono definitivamente smantellati i servizi residui. Il circolo si chiude, così con l’abbandono definitivo. L’abbandono è il nemico principale del territorio, l’anticamera dei disastri ambientali. La seconda necessità è quella di valorizzare le enormi risorse paesaggistiche, naturali e ambientali, il patrimonio storico e culturale. La programmazione in corso dei fondi strutturali UE, cofinanziati dallo stato e dalle regioni mette a disposizione per la coesione territoriale una quantità di risorse che, seppur non sufficiente ad affrontare tutti i problemi, se bene utilizzate, potranno imprimere quella inversione di tendenza verso lo sviluppo e l’innovazione di cui ha bisogno la nostra regione. La Calabria, percepirà una quota significativa degli oltre 100 miliardi destinati agli interventi per le politiche di coesione territoriale. Si tratta di risorse che hanno come obiettivo:
• Mettere in sicurezza il territorio;
• Promuovere la diversità naturale e culturale;
• Concorrere a una nuova stagione di sviluppo.
Per il raggiungimento di questi obbiettivi sono previsti azioni e interventi specifici quali:
• Interventi sulla scuola e sulla sanità volti al riposizionamento e riqualificazione dei servizi essenziali;
• Interventi sulle telecomunicazioni e la mobilità;
• Interventi per l’istruzione e la formazione, anche degli adulti;
• Azioni per la manutenzione del territorio e l’ammodernamento degli edifici pubblici;
• Promozione delle attività produttive, segnatamente turistiche, boschive e agricole.
Si tratta, in sostanza, di un quadro di opportunità di rilevante importanza. Il punto è se sapremo coglierle pienamente. Occorre, prima di tutto, qualità e capacità progettuale della regione; efficacia ed efficienza della macchina burocratico- amministrativa preposta alla gestione dei programmi; gli enti locali, primi fra tutti i comuni, devono abbandonare le logiche individualiste e localiste e impegnarsi a fare rete per candidarsi a gestire i servizi necessari in forma associata, considerata, tra l’altro, la loro limitata dimensione; la stessa necessità si pone per imprese e aziende che, attraverso la forma associata e la rete, devono investire per affrontare il mercato, sia interno che internazionale. Un ruolo decisivo spetta, infine alle banche che devono erogare il credito necessario alle imprese per cofinanziare i progetti di investimento. A queste risorse si aggiungono quelle del PSR che vale oltre un miliardo di euro e quelle del POR, detratte le quote che sono destinate a cofinanziare le politiche di coesione per la parte di competenza regionale. All’interno del ragionamento fin qui fatto può e deve trovare soluzione il problema del reddito delle aziende agricole e precostituire condizioni di civiltà per tutti i lavoratori agricoli.
Infine, una considerazione su quanto previsto dall’articolo 9 della legge regionale n. 9/2018. L’articolo introduce “meccanismi di premio e valorizzazione per le imprese in possesso del rating di legalità e che hanno acquisito il nuovo marchio etico collettivo da apporre sulle confezioni dei prodotti”.
Fermo restando l’assoluta valenza di quanto sancito va, però, rilevato che i tempi sono abbastanza lunghi. Si prevede, infatti, che la Giunta Regionale “entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge è autorizzata a presentare la richiesta di registrazione comunitaria del marchio etico collettivo”. Se ai 36 mesi aggiungiamo almeno un anno per l’esame della richiesta e l’approvazione del marchio, se tutto andrà bene, per disporre del marchio etico collettivo, le aziende dovranno aspettare fino al 2022/2023.
Nelle more pensiamo che si potrebbe avviare un progetto sperimentale di utilizzo di un marchio che certifica l’etica dei prodotti agricoli da riportare sulle etichette a fianco ai marchi eventualmente già posseduti dalle aziende. Il panorama entro cui si colloca questa iniziativa vede un’agricoltura che comunque ha fatto passi avanti notevoli verso la qualità. Almeno l’80% delle superfici agricole è condotto secondo lo schema dell’agricoltura biologica mentre si vanno affermando sempre più i marchi DOP e IGP. Certamente resta ancora molto da fare. Ad esempio, per quanto riguarda il biologico bisogna accorciare lo scarto che vi è tra le superfici coltivate e i prodotti certificati. Uno scarto che al momento si spiega perché la carenza di organizzazione economica delle aziende non consente di spuntare prezzi adeguati sul mercato per i prodotti bio.
Va anche evidenziato che l’agricoltura calabrese, malgrado tutte le difficoltà e i problemi, comunque genera oltre 4 milioni di giornate di lavoro contrattualizzate.
L’Idea che proponiamo è quella di costituire un gruppo di lavoro composto dalle Organizzazioni agricole, dai sindacati dei lavoratori, dalle associazioni dei consumatori, dall’ANCI, dalle associazioni industriali e commercianti, per l’istituzione del marchio, l’elaborazione di un disciplinare e la definizione di un progetto di valorizzazione e promozione dei prodotti e delle aziende.